Il filo sospeso
Un viaggio attraverso la pittura di Rodolfo Losani potrebbe svolgersi seguendo un filo, elemento presente in quasi tutte le sue opere; sia esplicitamente, filo bianco al quale sono legati svariati oggetti, sia in forma più nascosta, come, per esempio, in Intimi segreti, una serie di formiche in fila. Naturalmente quando sarà necessario mi allontanerò dal binario principale per seguire tracce limitrofe, suggestioni diverse, piste che deviano leggermente dalla strada maestra, ma che corrono parallele ad essa.
La scatola dei sogni ci mostra, sullo sfondo di un mare tempestoso, una scatola colorata, sospesa ad un filo bianco, che proviene da un punto fuori campo, in alto. Mi piace immaginare che quella scatola sia piena di fantasia, creatività, ispirazioni ed aspirazioni che ci salvano, almeno temporaneamente, dal mare agitato della sorte avversa. La scatola dei nostri sogni si rivela fragile, instabile, anche se la sua forma cubica le dona equilibrio; in contrasto con l’informe agitarsi dell’oceano. Per la vivacità dei suoi colori, la scatola appesa al filo potrebbe corrispondere alla vita, mentre il mare, “di colore oscuro”, potrebbe associarsi alla morte. Nel quadro A carte con la morte, il giocatore, che magari rappresenta lo stesso artista, appare sicuro di se, con una mano poggiata su un ginocchio e l'altra che tiene le carte. Indossa un vestito azzurro, colore aereo, sereno, rassicurante. Al contrario, la morte, ammantata di grigio, chiusa nel suo nero mantello, il volto nascosto da un cappuccio, è una massa minacciosa e compatta che proietta dietro di se un'ombra cupa e sinistra. Eppure qualcosa accomuna i due personaggi: l'imperscrutabilità di entrambi i volti. Il viso del giocatore, infatti, visto di spalle, è per noi nascosto quanto quello della morte, frontale ma invisibile. Come a dire: il mistero della morte è insito nella vita stessa.
Una concezione dura e amara della società, e conseguentemente un desiderio di cambiarla attraverso la persuasione artistica, si può percepire in diverse opere: Un Dio di spine trasmette una particolare forza umana. Il volto, tagliato, è mostrato in primissimo piano, in un’inquadratura costruita come la vignetta di un fumetto, capace di creare una tensione drammatica, ponendo in risalto lo sguardo intenso, pieno di fermezza, simile a quello di un giovane eroe. Undici settembre, che ricorda certe invenzioni di Salvator Dalì, possiede un toccante impatto morale. La tragedia della crocifissione si ripete per la continua e sempre nuova violenza degli uomini. In divieto di sosta comunica una forte denuncia sociale. Nel barbone, che vediamo inerte e rassegnato, riconosciamo le nostre sconfitte civili e morali, specie quando la coscienza manifesta moti di ribellione che non riescono a trovare una via di sfogo, perché la verità e la rettitudine sono a molti d’intralcio.
I quadri di Losani sono metafore della vita: vi sono colori che ritornano e che fanno riflettere (senz'altro i lettori più speculativi sfoglieranno più volte avanti e indietro questo catalogo, navigando alla scoperta di occulte analogie). In La carabola della fortuna, il tappeto verde, dove poggia la biglia, mi ricorda il tavolo dello stesso colore che appare nel quadro A carte con la morte. È vero che il verde è connesso con le sale da gioco, tuttavia non si può non riconoscere anche in quest’immagine una rappresentazione della complessità della vita. Il pittore riprende la scena abbassandosi sul piano del biliardo, identificandosi, in tal modo, con una delle biglie che fanno parte del gioco. Un elemento importante è la clessidra, poggiata su una sponda, osservata dal basso verso l'alto: dio spietato che ci sovrasta. Forse è una rappresentazione del tempo che scorre, inesorabile, riducendo ogni cosa in polvere. Sintomatico è anche che la biglia, uno scaramantico numero 13, ha due ombre. Il quadro ha perciò due fonti luminose. Grazie alla luce le forme acquistano rilievo. L’ombra è una parte effimera di noi stessi, eppure, se ne fossimo privi, non avremmo spessore.
Una interessante opera: Il bel David, riproduce un particolare del David di Michelangelo. Legato al polso ha uno specchio, dove si vede, capovolta, una parte del volto. Gli artisti offrono al pubblico il loro essere dalle mille sfaccettature, mettendo in mostra se stessi ogni volta in modo diverso: si divertono, come acrobati, ad esibirsi a testa in giù e, spesso condannati alla solitudine, ostentano un inguaribile narcisismo.
Il pittore ama parlare della sostanza, del significato dell’esistenza. Nel quadro Una vita in equilibrio, un bimbo cammina su un filo, sospeso fra colorati grattacieli di una moderna metropoli. La sua nudità è significativa, ne esprime l'innocenza, o fa di lui un simbolo dell'anima. Si crea un contrasto fra la geometria degli edifici e la naturalezza del bambino, quasi a stabilire una sorta di contrapposizione fra uomo e natura: la vita umana sarebbe pertanto in equilibrio fra la razionalità intellettuale e la forza vitale e selvaggia della natura, con il suo turbinoso scorrere. In Acqua che va al mare, la vita, come un fiume che scorre verso l’oceano, porta con se diversi relitti. Essi, come insegna Montale, sono i ricordi che riaffiorano talvolta nella nostra mente, cose a cui ci afferriamo, come alla tavola il naufrago, per non perdere la coscienza della nostra identità e per salvare la memoria delle persone che abbiamo conosciuto. La luna nel secchio mi ricorda, per l’appunto, una poesia di Montale, che cito per intero, perché mi sembra più interessante di ogni discorso critico:
Cigola la carrucola nel pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
(EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia)
Montale ci mostra, riflesso nel secchio, un volto sorridente; nel quadro è la luna a rispecchiarsi nell’acqua. Il contenuto cambia, ma il concetto è lo stesso: del mondo in cui viviamo, delle persone che amiamo, di ciò che facciamo, non rimangono che ricordi, particolari evanescenti e labili, sfumati in una nebbia indistinta; umili oggetti, miseri relitti del nostro naufragio quotidiano, storte sillabe… Gli artisti, escogitano codici indecifrabili, linguaggi muti, messaggi nascosti in una bottiglia. Il codice ha senso se è collegato ad un contesto esterno al mezzo di comunicazione. Un quadro non comunicherebbe nulla se non fosse parte integrante di un ambiente culturale. Talvolta il filo che lega un’iconografia alla spiritualità di un’epoca si spezza. È quel che accade, quando cerchiamo invano di comprendere tante opere d'arte del passato, ricche di significati spirituali, legati a codici rappresentativi che si sono persi col passare del tempo. Perciò il pittore tenta di recuperare anche la facilità comunicativa dell'arte, trovandola nelle manifestazioni “marginali” della creatività odierna, come il fumetto, il manifesto pubblicitario, i testi delle canzoni, che, al contrario dell'arte contemporanea, confinata in elitari cenacoli, sono più vicine alla sensibilità della gente. I colori brillanti testimoniano, non a caso, l'interesse e la pratica dell'autore per il fumetto, ma anche la sua volontà di comunicare con la massima chiarezza possibile la sua visione del mondo. A questa funzione assolvono anche le parole, inserite in quasi tutti i dipinti dell’artista, di facile impatto come i testi delle canzoni. In Multinazionale light, che è un tributo alla Pop Art, La lattina che pende dal filo, esprime proprio la nostra esigenza di attaccarci in qualche modo a qualcosa, sia pure a ciò che ci offre la pubblicità e l'industria, o a qualunque salvezza che ci viene porta dall’alto, come una chiave capace di aprire tutte le serrature: La chiave della speranza.
Ogni segno è una convenzione, ma, a tutela della libertà del pittore e dell’universalità dell’arte, tale convenzione è instabile. Il filo riesce ad assumere un significato polivalente, potendo rappresentare la salvezza o il peccato. Nel quadro, Il peccato e l'innocenza, il peccato scende dall'alto, direzione da cui semmai dovrebbe giungere la salvezza, il bene, il Salvatore. Al filo è legata una mela, simbolo appunto di tentazione, che una mano di bimbo cerca di afferrare. La composizione è impostata rigorosamente in verticale. Osservando quest’opera, possiamo renderci conto di come Rodolfo Losani sia capace di ridurre al minimo, per volontà di chiarezza, gli elementi della composizione. La mano, infatti, basta per indicare il bambino. La parte è sufficiente ad indicare il tutto: è ciò che in letteratura si ottiene con la sineddoche.
Oggi il filo è diventato un oggetto materiale, che si moltiplica all’infinito, come vediamo in Topi di città. Ormai sono tanti i fili che ci mettono in comunicazione col resto del mondo, a cominciare da quello che collega il mouse al computer, e gli trasmette i nostri comandi. Nell’era della comunicazione digitale tutto diventa virtuale e il vero e il falso non si distinguono più, perciò si incappa in subdole truffe, si cade in assurdi equivoci, si annullano in un grigio relativismo valori che hanno resistito ai secoli. La stessa arte si snatura. L'artista, per esempio, con la sua capacità di persuasione, sarebbe in grado di educare il pubblico. Sennonché oggi l'unico modo di suscitare interesse è far uso del danaro, ossia un segno uniformemente accettato per esprimere ricchezza, ma che da solo non vale niente, proprio come il segno privo di significato. Perciò, in A pesca di uomini, al filo è appesa una banconota. Warhol dipinse più volte il dollaro e una volta affermò che invece di acquistare dei quadri, si potrebbero mettere dei soldi in cornice. La verità è che si può entrare in possesso di un’opera d’arte (pagandola magari profumatamente), ma non si può possedere l’essenza dell’arte. Il titolo dell’opera ricorda la frase che Gesù rivolse ai primi Apostoli, Simone e Andrea: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini” (Mc 1, 17). Se riflettiamo al significato della frase evengelica: pescare gli uomini vuol dire convertirli, ci rendiamo conto della distanza che la separa dall’adescamento venale messo in mostra, con ironia, dall’artista. Il messaggio viene tradito; il segno si svuota di significato: quando un filo lega segno e significato, l’immagine è viva e matura i suoi frutti interiori nel nostro cuore. Allora le nostre nature, terrena e celeste si incontrano. Nell'opera, Abbraccio naturale, il fusto di un albero presenta la parte superiore e quella inferiore congiunte in un abbraccio; in Lacrime del sud, il frutto è diviso in due parti: una metà è legata al consueto filo, l'altra poggia su una stoffa scura, stesa su un piano orizzontale. Corpo e spirito concorrono parimenti a formare l’uomo, ed entrambi i piani devono essere tenuti presenti nel corso della vita. Lo sapevano bene i creatori di emblemi e imprese del Rinascimento e del Seicento: l’emblema è composto di anima e corpo; il corpo è un’immagine simbolica, spesso di carattere ermetico, l’anima è un motto, che accompagna l’immagine spiegandone il senso riposto. Come ho già spiegato, anche Losani inserisce in diversi quadri frasi esplicative. È una particolarità che lo accomuna a Magritte, che usava questo espediente per depistare il pubblico. Fra l’altro il pittore belga dipinse una pipa con scritto: “Questa non è una pipa”. Affermazione che, in un primo momento, lascia interdetti, perché la pipa che vediamo è rappresentata come se fosse l'illustrazione di un'enciclopedia. Solo dopo un momento di riflessione ci rendiamo conto che ciò che stiamo osservando non è effettivamente una pipa, ma l’immagine di una pipa. Quando gli artisti giocano con le convenzioni e gli stereotipi della rappresentazione, i fili si moltiplicano, s’aggrovigliano in una matassa imbrogliata, si dipartono in tutte le direzioni, si tendono come sottili ragnatele per accalappiarci. Questo spiega l’autodenuncia di Filo giallo, dove compaiono due fili: uno, in primo piano, a cui è legato stretto un tubetto, come a strozzarlo, l'altro, visibile all'esterno, attraverso una finestra. Evidentemente i due fili si contrappongono in qualche modo, come per suggerire approcci alternativi, insolite letture, interpretazioni devianti.
La contrapposizione fra interno ed esterno di questo quadro non rappresenta un caso isolato nella produzione di Rodolfo Losani. Già nell’opera Filo giallo abbiamo visto una scatola dal contenuto misterioso. Se ora osserviamo Intimi segreti, notiamo una serie di formiche in fila, che penetrano in una scatola, da cui fuoriescono delle mani. La scatola non è solo il contenitore dei sogni, ma anche la custodia della parte più intima e più vera di noi stessi, una parte di cui il pubblico è avido, e che l'artista, da un lato, tende a rappresentare, come molla insostituibile dell'arte, dall'altro vorrebbe nascondere, come irrinunciabile diritto a preservare il proprio io. Il pittore si sente come protetto da forme chiuse, dove può vivere nascosto. Se la scatola è un involucro artificiale che protegge la nostra intimità, l’equivalente guscio naturale è invece l’uovo. Nel quadro Il nido della vita, un uovo è posto, come in un nido, al centro di un letto sfatto. Quando nascono gli angeli mostra delle uova vaganti nel cosmo come corpi celesti; uno di questi sta schiudendo e lascia intravedere un uomo alato. Il simbolismo dell'uovo è universalmente conosciuto, associato alla nascita, e in qualche modo a tutto ciò che non esiste ancora. Interessante anche il fatto che l'uomo viene alla luce già adulto, alludendo forse, visto che è alato, ad una nascita spirituale, o al fatto che l'anima è forgiata perfetta. Insieme all'uovo anche un frutto può essere simbolo di vita, come l'artista rappresenta in Nettari preziosi. La vita centro di altre vita, desiderio e tentazione. Il quadro contiene principalmente i tre colori fondamentali: rosso, giallo, azzurro, come a ribadire concetti originari, primordiali, come la vita stessa.
Forme e colori spiegano il pensiero e l’anima dell’artista mediante una comunicatività accattivante e “semplice”, che non incute soggezione e ci spinge ad entrare, a varcare la soglia, o meglio a camminare lungo il filo sospeso sull’abisso di palazzi e strade, dove lattine di Coca Cola, scatole, tubetti di colore, banconote, uova, frutti ed altro, nascondono il vuoto, fungendo da segni di richiamo, segnali che indicano la strada, come i sassi di Pollicino, come il filo di Arianna. E noi, con il pittore, siamo sicuri che non ci smarriremo, che non perderemo mai il filo del discorso, che ci unisce alle altre persone; fune che stringe amicizie, laccio che annoda relazioni, gomena che lega la barca della nostra vita impedendole di andare alla deriva.
Dott. Antonio Risi